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Nella società di oggi, caratterizzata, come diceva Weber, dal “politeismo dei valori”, non c’è più una definizione unitaria su cui tutti concordino.

Nel passato la società aderiva anche in campo educativo ad una definizione unitaria e condivisa di educazione che veniva “consegnata” alle generazioni successive senza grandi scosse e problemi.

 

Ma la comunicazione di ciò che è vero, giusto, stimabile per me, non può essere fatta attraverso un discorso. Ciò che è veramente persuasivo è l’esempio. Per questo, l’educazione si realizza principalmente attraverso il paragone personale.

L’educazione implica la reciprocità, quella condizione per cui chi educa e chi è educato stanno all’interno di una relazione che li comprende entrambi.

Se riflettiamo un po’, è facile riconoscere che abbiamo appreso i valori che contano nella nostra vita vedendoli incarnati, esemplificati in persone che abbiamo amato e ammirato: i nostri genitori, i nostri insegnanti, i nostri amici. Poi, crescendo, abbiamo imparato a sottoporre questi valori ad un giudizio, li abbiamo provati, verificati nelle tante situazioni concrete della nostra vita e rielaborati criticamente.

Quindi, quando si parla di “libertà di educazione”, si corre il rischio di riferirla solamente all’esperienza della scuola paritaria e, ancora più riduttivamente, al contributo finanziario dello Stato, ormai ridotto a ben poca cosa.

Il problema della libertà riguarda invece tutta la scuola, e in special modo la Scuola statale, perché in tutti questi anni, si sono ridotti sempre più gli spazi di pluralismo culturale, sostituito da una nuova “ideologia-melassa” che dà una lettura della modernità basata sui luoghi comuni, sulla omissione delle verità storiche, in nome di un conformismo che censura completamente l’esperienza cristiana.

 

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