Tra i giovani c’è bisogno del bello, di risentire che la bellezza è un’esperienza possibile. Di qualcosa che li strappi dal nulla e dal nichilismo imperante di molti adulti. Ho avuto conferma di tale convinzione alcune sere fa partecipando a Brescia al primo appuntamento del Mese letterario promosso dalla Fondazione San Benedetto. Quattrocento persone, fra cui tantissimi giovani, hanno seguito per due ore con grande interesse la testimonianza su Dante una testimonianza a cura del professor Franco Nembrini, affascinati dal sommo poeta come se si trattasse dell’incontro con una persona viva, presente. Sorprende vedere quale attrattiva possa esercitare un testo così apparentemente poco moderno come la Divina Commedia. Non è certo per una passione filologica.
Vien piuttosto da pensare a quanto diceva Charles Peguy: «Omero è nuovo stamattina e niente è forse così vecchio come il giornale di oggi». Questo è successo a Nembrini quando all’età di undici anni, facendo il garzone di bottega, lontano da casa, mentre scaricava bottiglie su e giù da uno scantinato, ha sentito sulla propria pelle la verità di una terzina dantesca imparata a scuola: «Tu proverai sì come sa di sale/ lo pane altrui, e come è duro calle/ lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale». Da lì è scoccato per lui un amore reale per lo scrittore fiorentino che lo accompagna tuttora. Insomma una corrispondenza improvvisa fra la propria esperienza e quella vissuta dal poeta che getta una luce nuova sulla propria vita.
Forse è proprio la sorpresa per tale corrispondenza a stimolare la curiosità di tanti a riscoprire con un accento nuovo quanto magari noiosamente hanno studiato a scuola. Ma per far sì che ciò accada occorrono maestri che siano testimoni più che semplici divulgatori.
Don Giussani, da grande educatore qual è stato, già una ventina di anni fa, descriveva profeticamente la condizione dei giovani contemporanei come quella di una generazione investita dalle radiazioni di Chernobyl: strutturalmente l’organismo è lo stesso di prima, ma dinamicamente non lo è più.
C’è una debolezza non di tipo etico, ma di energia della coscienza, come se ci fosse stato un plagio fisiologico operato dalla mentalità dominante. Oggi sono sempre più evidenti le dimensioni di tale problema. La Chiesa stessa adesso, nel suo complesso, parla insistentemente di emergenza educativa e ne ha fatto la priorità della sua azione. Se mi è consentito un riferimento personale, nella mia esperienza professionale e nei tanti contatti con le imprese che negli anni scorsi ho avuto come presidente della Compagnia delle Opere, mi sono persuaso che il futuro stesso delle nostre aziende dipenderà in gran parte dalla qualità del suo capitale umano, termine oggi in voga che io preferisco sostituire semplicemente coi suoi uomini. Da qui la necessità di dare senso e ragioni adeguati per affrontare l’esperienza del lavoro dentro quella più ampia dell’avventura della vita.
La crisi attuale è a questo livello. C’è un problema di consistenza umana, prima che di tipo sociale, politico o finanziario. Perciò ho deciso con altri amici di dedicarmi alla Fondazione San Benedetto.
È stata messa a disposizione una sede per creare anche visibilmente un luogo dove si valorizzi il positivo che c’è in ogni persona.
Tutto l’opposto di una scatola vuota che magari richiami anche nobili valori. La prima iniziativa è stata la Scuola di sussidiarietà, di cui si è da poco conclusa la quarta edizione, nata per formare i giovani all’impegno sociale e politico. Più di cinquecento ne hanno sinora seguito i corsi.
E adesso appunto il Mese letterario, una provocazione a riscoprire grandi della letteratura come Dante, Pasolini, Dostoevskji e Leopardi, perché hanno da dirci molto: che siamo fatti per qualcosa di grande e che non possiamo rinunciare all’esigenza di verità e di bellezza che appartiene alla nostra umanità.