Sospiro. E poi: «Errori, senza dubbio». Due, in particolare: «Non aver radicato una identità del nuovo partito e non aver creato sedi e occasioni in cui confrontarsi, far circolare le idee e costruire una classe dirigente». Roberto Formigoni ammette che nel Pdl le cose non funzionano come dovrebbero: «Del resto, quest’ ultima vicenda (il caso Fini, ndr) è stata una polemica di partito che gli organi di partito non sono riusciti a controllare ed è evidente che c’ è qualcosa che non funziona». Quindi, il monito di Berlusconi? «È un caveat sull’ organizzazione, un campanello d’ allarme sacrosanto». Rivolto a chi? «Credo che tutti ci dobbiamo sentire chiamati in causa». Il governo non ha responsabilità? «L’ azione del governo ne ha sicuramente risentito, anche perché la polemica ha occupato le settimane di agosto, durante le quali l’ attività governativa è meno intensa». E quindi? «Quindi, la gente ha avuto la sensazione netta che la crisi del partito potesse trasformarsi in una crisi di governo: tanto è vero che a lungo, non senza fondamento, si è ragionato sulle elezioni anticipate. E il presidente del Consiglio ha dovuto scegliere di andare in Parlamento a fare un discorso sulla stabilità dell’ esecutivo e ha dovuto mettere la fiducia sui cinque punti». Sbagliato? «Giustissimo. Ma serviva per chiarire i dubbi legittimamente venuti agli italiani. Ottimo, tra l’ altro, che a quei cinque punti oggi il premier ne abbia aggiunti altri». Ha parlato di vita e famiglia: deve riconquistare il mondo cattolico? «Ma no, nessuna sviolinata. Un tema vero, perché oggi le famiglie sono troppo penalizzate». Torniamo al partito. Il problema? «Che il partito bisogna farlo. Il Pdl è nato a caldo nella fusione per le elezioni politiche del 2008 ed è stato subito approvato dagli elettori che ci hanno fatto vincere le politiche. Poi c’ è stato un congresso a ridosso delle europee del 2009 e da lì ci si è come fermati». I due errori? «Il primo: nel momento in cui nasce un nuovo partito, che non è solo estensione di Forza Italia e An, occorreva e occorre ancora una riflessione più profonda sulle radici culturali, sull’ identità e l’ anima comune. Abbiamo detto che siamo il Partito popolare europeo: ma poi non abbiamo declinato questa identità né radicato questa cultura». Perché? «In parte non c’ è stato tempo, in parte abbiamo mancato nel non organizzare assemblee e congressi». Secondo errore? «Appunto, il mancato dibattito. Bisogna chiamare la classe dirigente locale a confrontarsi e bisogna coinvolgere la base, soprattutto i giovani, che non si accontentano della tessera ma vogliono partecipare. Ammettiamolo: non esiste un luogo in cui avanzare proposte e confrontare idee con gli altri». C’ è un colpevole? «Tutti siamo in qualche modo responsabili. La nostra gente si lamenta perché non trova nelle sedi del Pdl lo spazio per esprimersi, discutere ed eventualmente criticare le scelte che si fanno anche nelle amministrazioni». Manca anche una classe dirigente? «Manca una formazione politica. Infatti io ho promosso una scuola, altre ce ne sono e tutte cercano di supplire alla carenza del partito. È ottima anche l’ iniziativa di Bondi, organizzata a Gubbio alla fine dell’ estate: ma un partito che ha l’ ambizione di essere moderno deve colmare questa lacuna». Presidente Formigoni, è la fine del partito azienda? «Quella non avrebbe mai potuto essere l’ impostazione vincente. Il partito va radicato nel territorio, la gente va coinvolta». Un partito pesante? «Un partito di idee e dibattiti. Un partito luogo di elaborazione, non di scalate di potere, un partito che affianchi lo sforzo di chi governa ai vari livelli. Altrimenti sei affidato solo al carisma del leader». E non va bene il carisma di Berlusconi? «Va benissimo, anzi è la nostra forza rispetto alla sinistra che non sa chi sia il suo leader. Ma un conto è avere un elemento di forza, un altro affidarsi solo a questo. Un partito, così, non potrebbe funzionare». Elisabetta Soglio