Bresciaoggi 13 Gennaio 2011
Non so quanti tipi di cattolicesimo ci siano a Brescia. Sono solo tre o molti di più? In tutta sincerità gli aggettivi aggiunti alla parola cattolico non mi hanno mai convinto. Mi sembrano specificazioni che non riescono a dar conto di come stanno realmente le cose. Raccolgo però nel segno dell’amicizia che ho per Ilario Bertoletti gli spunti che offre il suo intervento nel dibattito che si è aperto in questi mesi a Brescia su cattolici e politica, che proprio sulle colonne di «Bresciaoggi» ha trovato ampio spazio.
Per riassumere, lui individua in particolare un cattolicesimo montiniano con due distinte correnti (le cui distanze mi sembrano più frutto di semplificazione giornalistica che di un dato reale). Bertoletti individua poi un cattolicesimo ciellino e infine uno tridentino e post moderno incarnato dalla Lega.
Il punto di differenza sostanziale fra i diversi modelli è legato all’interpretazione del rapporto con la cosiddetta modernità. Questione che reputo centrale e mi rifaccio in proposito alle riflessioni di un grande filosofo come Augusto Del Noce che aveva visto nella modernità la tendenza del pensiero a chiudersi nel cerchio dell’immanenza. Cornelio Fabro aveva sintetizzato questo percorso con la frase «Dio se c’è, non c’entra». Del Noce era preoccupato di affermare non solo una dimensione ultima, un «totalmente altro» rispetto al piano storico, ma soprattutto di lasciare lo spazio a forme di intersezione dell’eterno nel temporale, di presenza di Dio nella storia. Di lasciare un campo aperto alla possibilità, all’imprevedibile, cristianamente al miracolo di un avvenimento che introduce nel mondo un significato adeguato al bisogno di infinito che è nell’uomo. Questo, credo, sia il vero livello sul quale va affrontata la sfida portata dalla modernità che è ben più di una diatriba filosofica ma ha a che fare col nostro rapporto con la realtà.
Un secondo punto su cui vorrei soffermarmi riguarda l’interpretazione di quello che Bertoletti definisce cattolicesimo postmoderno che troverebbe nella Lega la sua sponda politica. Si fa riferimento all’uso spregiudicato di simboli cristiani, «svuotati del loro significato teologico» e resi funzionali alla costruzione di «un’identità etnica». Penso che Bossi, da abile politico qual è, ha solo capito l’importanza che possono avere i simboli della tradizione per creare un collante ideale utile all’azione politica. Nulla di più. Pertanto il futuro della Lega dipenderà dalla qualità della sua risposta politica ai problemi che assillano il nostro paese e non certamente da contenuti di tipo religioso. Mi chiedo quindi, non è forse il caso di recuperare un rapporto costruttivo con questo popolo di cattolici-leghisti, visto anche che, come riconosce lo stesso Bertoletti, rappresenta la maggioranza?
Quanto a Comunione e Liberazione, infine, mi sembra che la lettura che ne dà Bertoletti sia più influenzata da opinioni correnti, pur rispettabili, che da un’effettiva presa diretta di tale esperienza. E perciò di questa rischia di sfuggire quello che ne è il vero cuore: un ritorno all’origine della fede come risposta all’esperienza elementare dell’uomo che è esigenza di un significato totale, a quel senso religioso che il cardinal Montini definì «sintesi dello spirito».
Proprio superando le strettoie del razionalismo e del fideismo il cattolicesimo trova nel senso religioso la strada per dialogare con l’orizzonte contemporaneo. In ciò il caso di CL è emblematico di tale capacità di incontrare tutti (basti solo pensare a cosa è diventato nel tempo il Meeting di Rimini). Così è stato anche per me. Oggi perciò guardo alla Chiesa soprattutto da questo punto di vista, come luogo di educazione alla religiosità dentro il rischio della libertà di ciascuno. In tale prospettiva, concordo con monsignor Canobbio, non attribuisco compiti messianici ad alcuna forza politica e tendo a relativizzare la scelta del partito.
In ogni caso ben vengano le differenze di accenti e di sensibilità che ci possono essere fra i cattolici, l’augurio è che a prevalere sia comunque sempre l’amore alla Chiesa dentro il riconoscimento di un’unità più profonda e più vera che non è certo assimilabile a quella tattica o contingente di uno schieramento politico.
Per riassumere, lui individua in particolare un cattolicesimo montiniano con due distinte correnti (le cui distanze mi sembrano più frutto di semplificazione giornalistica che di un dato reale). Bertoletti individua poi un cattolicesimo ciellino e infine uno tridentino e post moderno incarnato dalla Lega.
Il punto di differenza sostanziale fra i diversi modelli è legato all’interpretazione del rapporto con la cosiddetta modernità. Questione che reputo centrale e mi rifaccio in proposito alle riflessioni di un grande filosofo come Augusto Del Noce che aveva visto nella modernità la tendenza del pensiero a chiudersi nel cerchio dell’immanenza. Cornelio Fabro aveva sintetizzato questo percorso con la frase «Dio se c’è, non c’entra». Del Noce era preoccupato di affermare non solo una dimensione ultima, un «totalmente altro» rispetto al piano storico, ma soprattutto di lasciare lo spazio a forme di intersezione dell’eterno nel temporale, di presenza di Dio nella storia. Di lasciare un campo aperto alla possibilità, all’imprevedibile, cristianamente al miracolo di un avvenimento che introduce nel mondo un significato adeguato al bisogno di infinito che è nell’uomo. Questo, credo, sia il vero livello sul quale va affrontata la sfida portata dalla modernità che è ben più di una diatriba filosofica ma ha a che fare col nostro rapporto con la realtà.
Un secondo punto su cui vorrei soffermarmi riguarda l’interpretazione di quello che Bertoletti definisce cattolicesimo postmoderno che troverebbe nella Lega la sua sponda politica. Si fa riferimento all’uso spregiudicato di simboli cristiani, «svuotati del loro significato teologico» e resi funzionali alla costruzione di «un’identità etnica». Penso che Bossi, da abile politico qual è, ha solo capito l’importanza che possono avere i simboli della tradizione per creare un collante ideale utile all’azione politica. Nulla di più. Pertanto il futuro della Lega dipenderà dalla qualità della sua risposta politica ai problemi che assillano il nostro paese e non certamente da contenuti di tipo religioso. Mi chiedo quindi, non è forse il caso di recuperare un rapporto costruttivo con questo popolo di cattolici-leghisti, visto anche che, come riconosce lo stesso Bertoletti, rappresenta la maggioranza?
Quanto a Comunione e Liberazione, infine, mi sembra che la lettura che ne dà Bertoletti sia più influenzata da opinioni correnti, pur rispettabili, che da un’effettiva presa diretta di tale esperienza. E perciò di questa rischia di sfuggire quello che ne è il vero cuore: un ritorno all’origine della fede come risposta all’esperienza elementare dell’uomo che è esigenza di un significato totale, a quel senso religioso che il cardinal Montini definì «sintesi dello spirito».
Proprio superando le strettoie del razionalismo e del fideismo il cattolicesimo trova nel senso religioso la strada per dialogare con l’orizzonte contemporaneo. In ciò il caso di CL è emblematico di tale capacità di incontrare tutti (basti solo pensare a cosa è diventato nel tempo il Meeting di Rimini). Così è stato anche per me. Oggi perciò guardo alla Chiesa soprattutto da questo punto di vista, come luogo di educazione alla religiosità dentro il rischio della libertà di ciascuno. In tale prospettiva, concordo con monsignor Canobbio, non attribuisco compiti messianici ad alcuna forza politica e tendo a relativizzare la scelta del partito.
In ogni caso ben vengano le differenze di accenti e di sensibilità che ci possono essere fra i cattolici, l’augurio è che a prevalere sia comunque sempre l’amore alla Chiesa dentro il riconoscimento di un’unità più profonda e più vera che non è certo assimilabile a quella tattica o contingente di uno schieramento politico.
Graziano Tarantini