Giornale di Brescia 27 marzo 2012
La politica in caduta di credibilità prova a tornare ai fondamentali, che sono prepolitici. Con quale esito?
È accaduto ieri sera, agli Artigianelli, in occasione della presentazione del libro «La prima politica è vivere» del vicepresidente della Camera Maurizio Lupi. A fare gli onori di casa, a nome di Areopago e di altre associazioni, il presidente Maurizio Vanzani; a porgere il saluto della città, e di chi ha condiviso lunghi tratti dell’esperienza di Lupi, il sindaco Adriano Paroli; a coordinare i lavori, come parte del progetto passato e futuro, il consigliere regionale Mauro Parolini.
Un maligno potrebbe equivocare sul titolo: si scrive e pensa di vivere, non di sopravvivere. Paroli cita una chiave interpretativa di Mino Martinazzoli: la politica è importante, ma la vita di più.
L’on. Stefano Saglia scocca alcune frecce a favore del valore della testimonianza personale, del bipolarismo civile, del bene comune come filo conduttore dell’azione politica, della priorità del giudizio rispetto al pensiero dominante, del cristianesimo che permea la storia italiana, della centralità della questione educativa. Dipana una questione – discussa ieri, oggi e domani – che troverà ulteriore eco convergente: meglio il divorziato Berlusconi, che difende la famiglia e i valori non negoziabili, piuttosto che un presunto virtuoso che non li tutela a livello legislativo.
Il consigliere regionale del Pd Gian Antonio Girelli, unico non pidiellino tra i relatori, focalizza il suo intervento sul valore del confronto, sul coraggio che scaccia l’arroganza, sulla vita che non può essere costretta dentro il recinto di un’appartenenza politica, sul limite delle certezze individuali o di parte, sul compromesso vissuto come «promettere insieme», sulla continua delegittimazione del concorrente che ha finito per appannare tutti e tutta la politica. Occorre quindi tornare ad una competizione politica civile. Concetti, questi, condivisi in toto da Maurizio Lupi.
Maria Stella Gelmini difende in blocco l’esperienza berlusconiana e la sua stagione ministeriale, sostiene che una ventata proporzionalista può fare bene all’uscita da un bipolarismo armato, elogia l’intergruppo parlamentare della solidarietà inventato da Lupi che definisce il Gianni Morandi dei parlamentari per la capacità di fare comunità, lamenta la debolezza del potere politico e rinnova appunti ai giornali e ai giornalisti avversi.
È proprio un giornalista, Paolo Liguori, direttore di NewMedia Mediaset, a irrompere nella serata buonista chiedendo che si sfrutti questa stagione eccezionale per ridefinire l’Europa, il capitalismo, il bipolarismo, il riconoscimento e il rispetto del potere. Un brivido corre quando fa suo l’auspicio che Monti possa durare a lungo, se non 10 almeno 5 anni.
Maurizio Lupi riassume da leader: non rinchiudersi nel fortino, ma attingere alle proprie radici per gestire il tempo nuovo. Resta la domanda: chi è stato classe dirigente del ventennio berlusconiano, può rifare la rivoluzione che fu loro? Oppure finirà marginalizzato dai grandi vecchi, da Napolitano a Monti in giù, e dalle nuove leve che non riconoscono questi padri?
Adalberto Migliorati
È accaduto ieri sera, agli Artigianelli, in occasione della presentazione del libro «La prima politica è vivere» del vicepresidente della Camera Maurizio Lupi. A fare gli onori di casa, a nome di Areopago e di altre associazioni, il presidente Maurizio Vanzani; a porgere il saluto della città, e di chi ha condiviso lunghi tratti dell’esperienza di Lupi, il sindaco Adriano Paroli; a coordinare i lavori, come parte del progetto passato e futuro, il consigliere regionale Mauro Parolini.
Un maligno potrebbe equivocare sul titolo: si scrive e pensa di vivere, non di sopravvivere. Paroli cita una chiave interpretativa di Mino Martinazzoli: la politica è importante, ma la vita di più.
L’on. Stefano Saglia scocca alcune frecce a favore del valore della testimonianza personale, del bipolarismo civile, del bene comune come filo conduttore dell’azione politica, della priorità del giudizio rispetto al pensiero dominante, del cristianesimo che permea la storia italiana, della centralità della questione educativa. Dipana una questione – discussa ieri, oggi e domani – che troverà ulteriore eco convergente: meglio il divorziato Berlusconi, che difende la famiglia e i valori non negoziabili, piuttosto che un presunto virtuoso che non li tutela a livello legislativo.
Il consigliere regionale del Pd Gian Antonio Girelli, unico non pidiellino tra i relatori, focalizza il suo intervento sul valore del confronto, sul coraggio che scaccia l’arroganza, sulla vita che non può essere costretta dentro il recinto di un’appartenenza politica, sul limite delle certezze individuali o di parte, sul compromesso vissuto come «promettere insieme», sulla continua delegittimazione del concorrente che ha finito per appannare tutti e tutta la politica. Occorre quindi tornare ad una competizione politica civile. Concetti, questi, condivisi in toto da Maurizio Lupi.
Maria Stella Gelmini difende in blocco l’esperienza berlusconiana e la sua stagione ministeriale, sostiene che una ventata proporzionalista può fare bene all’uscita da un bipolarismo armato, elogia l’intergruppo parlamentare della solidarietà inventato da Lupi che definisce il Gianni Morandi dei parlamentari per la capacità di fare comunità, lamenta la debolezza del potere politico e rinnova appunti ai giornali e ai giornalisti avversi.
È proprio un giornalista, Paolo Liguori, direttore di NewMedia Mediaset, a irrompere nella serata buonista chiedendo che si sfrutti questa stagione eccezionale per ridefinire l’Europa, il capitalismo, il bipolarismo, il riconoscimento e il rispetto del potere. Un brivido corre quando fa suo l’auspicio che Monti possa durare a lungo, se non 10 almeno 5 anni.
Maurizio Lupi riassume da leader: non rinchiudersi nel fortino, ma attingere alle proprie radici per gestire il tempo nuovo. Resta la domanda: chi è stato classe dirigente del ventennio berlusconiano, può rifare la rivoluzione che fu loro? Oppure finirà marginalizzato dai grandi vecchi, da Napolitano a Monti in giù, e dalle nuove leve che non riconoscono questi padri?
Adalberto Migliorati