Bisognerà mettersi daccordo sugli standard di moralità pubblica, se vogliamo uscire dallincubo di questo ventennio. Gli italiani non ne possono più dei livelli record di corruzione, favoritismo e nepotismo; ma il mondo politico è diviso sulle sanzioni. A un estremo ci sono quelli che perdonerebbero tutti per condonare se stessi; allaltro i Torquemada che condannerebbero chiunque pur di guadagnarsi il favore popolare. In mezzo cè il Pd. Come dimostra il caso Cancellieri, la linea di frontiera passa di lì. E non è solo frutto di tatticismo, Renzi che vuole fare le scarpe a Letta, Cuperlo che vuole farle a Renzi, più una pletora di personaggi minori in cerca di fama. Cè qualcosa di più profondo.
Una deputata democratica confessava qualche giorno fa il suo imbarazzo: «Mia madre mi ha detto che se salviamo la Cancellieri non ci voterà mai più. Mio marito mi ha detto che non ci voterà più se labbandoniamo». È questa incertezza sui principi a spiegare perché il Pd assomigli sempre più a unagorà e sempre meno a un partito, una piazza dove tutti votano a piacere e molti obbediscono a impulsi esterni. In quale altro partito il segretario avrebbe rinunciato a presentarsi con una sua proposta allassemblea che doveva decidere sulla sfiducia? Cè dovuto andare il presidente del Consiglio, per ricordare a tutti che se un partito al governo vota con lopposizione contro il governo, non cè più il governo. Civati lha definito un «ricatto», ma è lAbc della politica.
Bisogna dunque cercare criteri per giudizi rigorosi ma equanimi, sottratti alla faziosità di quella lotta politica che, anche in assenza di atti giudiziari, non esita a sfruttare brogliacci di polizia, fughe di notizie, voci.
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