Bresciaoggi 5 maggio 2011
In auto si rischiano ritiro della patente e sequestro del mezzo. In azienda, il posto di lavoro, ma non è chiaro. O meglio, lo è per l’abuso di stupefacenti, ma non di alcol: perchè la normativa vigente «non sancisce modalità strutturali di intervento, nè criteri di verifica uniformi», nonostante l’alcol causi fino a un terzo degli infortuni.
Lo ha precisato Mauro Parolini, consigliere al Pirellone, e lo hanno ribadito gli esperti chiamati all’incontro in Aib su «Alcol e droga: problematiche nel mondo del lavoro», promosso da Synalib Italia srl e Associazione Industriali Bresciani. Mentre la scienza fa passi da gigante, e basta un capello per accertare abuso istantaneo e cronico, di droghe e alcol, di contro, «resta un vuoto normativo» che crea difficoltà operative a medici, imprenditori, legali. Tanto che l’avvocato Sergio Ambrosio non esclude si potrebbe «prendere spunto dal Codice della strada per stabilire criteri certi» qualora un dipendente sia pizzicato in stato di ebbrezza.
«Uno degli aspetti più delicati resta la vigilanza – spiega -: spesso il grado di alterazione, specialmente alcolica, non è visibile. E in caso di infortunio, attribuire la responsabilità è difficile: il pm può rifarsi sul datore che, però, non è tenuto a controllare di persona la salute dei sottoposti». E allora conviene «predisporre un documento di valutazione del rischio che prescriva il livello alcolemico zero», andando oltre il Testo unico che vieta somministrazione e assunzione (soprattutto per le categorie a rischio, come evidenziato da Roberto Colombo, direttore medico Synlab).
Ma, sotto il profilo penale, servirebbe un intervento tempestivo del medico per gli accertamenti e l’approfondimento delle autorità giudiziarie Asl. Insomma, una catena che si inceppa sul chi deve fare cosa. Ribadisce l’avvocato: «la chiave interpretativa sulla sicurezza non può essere affidata solo ai datori di lavoro».
CI HA PROVATO Francesco Uberto, presidente dei Giovani Aib e Ad inAso Group, che ha deciso «di affrontare l’abuso di alcol con i dipendenti, mettendo in campo una serie di azioni che vanno dalla formazione allo sviluppo di consapevolezza e autocontrollo per modificare i comportamenti a rischio».
Difficile stilare dati certi sull’efficacia dello screening in Italia per le categorie a rischio (autisti, ferrovieri, trasportatori e, in futuro, personale sanitario), ma «nel 2009/10, su 54.138 controllati, l’1.2 per cento è risultato positivo al primo drug test: 13 per cento alla cocaina e 64 per cento cannabis, e in 368 anche al secondo livello di controlli», rileva Plinio Amendola, medico competente del Centro Diagnostico italiano. Denuncia «strumenti carenti e approcci variabili sul territorio: in Lombardia, per esempio, la normativa viene recepita alla lettera e sta all’imprendotore chiedere l’idoneità del dipendente alle mansioni». Secondo l’Oms, «dal 10 al 30 per cento degli infortuni sono imputabili all’intossicazione da alcol». Dipendenza che, però, «la Regione non prevede possa essere accertata in forma cronica, ma solo istantanea – spiega Aldo Polettini, tossicologo forense -: pensare che, con un capello, è possibile tornare indietro di mesi, grazie a test avanzatissimi:rileva il marker dell’abuso di alcol, l’etiglucoronide, evidenzia i composti illeciti e ricostruisce la storia del consumo».
Lo ha precisato Mauro Parolini, consigliere al Pirellone, e lo hanno ribadito gli esperti chiamati all’incontro in Aib su «Alcol e droga: problematiche nel mondo del lavoro», promosso da Synalib Italia srl e Associazione Industriali Bresciani. Mentre la scienza fa passi da gigante, e basta un capello per accertare abuso istantaneo e cronico, di droghe e alcol, di contro, «resta un vuoto normativo» che crea difficoltà operative a medici, imprenditori, legali. Tanto che l’avvocato Sergio Ambrosio non esclude si potrebbe «prendere spunto dal Codice della strada per stabilire criteri certi» qualora un dipendente sia pizzicato in stato di ebbrezza.
«Uno degli aspetti più delicati resta la vigilanza – spiega -: spesso il grado di alterazione, specialmente alcolica, non è visibile. E in caso di infortunio, attribuire la responsabilità è difficile: il pm può rifarsi sul datore che, però, non è tenuto a controllare di persona la salute dei sottoposti». E allora conviene «predisporre un documento di valutazione del rischio che prescriva il livello alcolemico zero», andando oltre il Testo unico che vieta somministrazione e assunzione (soprattutto per le categorie a rischio, come evidenziato da Roberto Colombo, direttore medico Synlab).
Ma, sotto il profilo penale, servirebbe un intervento tempestivo del medico per gli accertamenti e l’approfondimento delle autorità giudiziarie Asl. Insomma, una catena che si inceppa sul chi deve fare cosa. Ribadisce l’avvocato: «la chiave interpretativa sulla sicurezza non può essere affidata solo ai datori di lavoro».
CI HA PROVATO Francesco Uberto, presidente dei Giovani Aib e Ad inAso Group, che ha deciso «di affrontare l’abuso di alcol con i dipendenti, mettendo in campo una serie di azioni che vanno dalla formazione allo sviluppo di consapevolezza e autocontrollo per modificare i comportamenti a rischio».
Difficile stilare dati certi sull’efficacia dello screening in Italia per le categorie a rischio (autisti, ferrovieri, trasportatori e, in futuro, personale sanitario), ma «nel 2009/10, su 54.138 controllati, l’1.2 per cento è risultato positivo al primo drug test: 13 per cento alla cocaina e 64 per cento cannabis, e in 368 anche al secondo livello di controlli», rileva Plinio Amendola, medico competente del Centro Diagnostico italiano. Denuncia «strumenti carenti e approcci variabili sul territorio: in Lombardia, per esempio, la normativa viene recepita alla lettera e sta all’imprendotore chiedere l’idoneità del dipendente alle mansioni». Secondo l’Oms, «dal 10 al 30 per cento degli infortuni sono imputabili all’intossicazione da alcol». Dipendenza che, però, «la Regione non prevede possa essere accertata in forma cronica, ma solo istantanea – spiega Aldo Polettini, tossicologo forense -: pensare che, con un capello, è possibile tornare indietro di mesi, grazie a test avanzatissimi:rileva il marker dell’abuso di alcol, l’etiglucoronide, evidenzia i composti illeciti e ricostruisce la storia del consumo».