E’ in corso a Todi il Forum delle associazioni cattoliche dal titolo «La buona politica per il bene comune: i cattolici protagonisti della politica italiana».
I lavori sono stati aperti questa mattina dalla prolusione del presidente della Cei, il Cardinale Angelo Bagnasco. Una cinquantina i partecipanti, tra i quali i presidenti delle sette associazioni che compongono il Forum: Raffaele Bonanni (Cisl), Andrea Olivero (Acli), Bernhard Scholz (Compagnia delle Opere), Sergio Marini (Coldiretti), Giorgio Guerrini (Confartigianato), Luigi Marino (Confcooperative) e Carlo Costalli (Movimento cristiano lavoratori).
Questa sera la conferenza stampa conclusiva illustrerà alla stampa i contenuti delle tre sessioni di lavoro, due mattutine e una pomeridiana, svoltesi a porte chiuse.
Fra i relatori previsti dal programma il presidente del Censis, Giuseppe De Rita, il presidente della Comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo, il rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Lorenzo Ornaghi, l’amministratore delegato di Intesa SanPaolo, Corrado Passera, il filosofo Dario Antiseri, il politologo Ernesto Galli della Loggia e il portavoce nazionale del Forum, Natale Forlani.
Ecco il testo della prolusione del presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il Cardinal Angelo Bagnasco.
Todi, 17.9.2011
FORUM DEL MONDO DEL LAVORO
INTERVENTO DI APERTURA
Cardinale Angelo Bagnasco
Arcivescovo di Genova
Presidente della Conferenza Episcopale Italiana
1. Ringrazio per il cortese invito a porgere un saluto a questo Convegno promosso dal FORUM del mondo del lavoro. La comune ispirazione cristiana consente di fare, in un certo senso, un discorso di famiglia che possa essere ascoltato con benevolenza e speriamo condiviso oltre questo uditorio. Il nostro animo è ancora segnato da quanto è accaduto sabato scorso a Roma, e non possiamo non esprimere la nostra totale esecrazione per la violenza organizzata da facinorosi che hanno turbato molti che intendevano manifestare in modo pacifico le loro preoccupazioni. Alle Forze dellOrdine va la nostra rinnovata gratitudine e stima per il loro servizio, che presiede lo svolgimento sicuro e ordinato della vita del Paese.
Che dei cristiani si incontrino per ragionare insieme sulla società portando nel cuore la realtà della gente e i criteri della Dottrina sociale della Chiesa, è qualcosa di cui tutti dovrebbero semplicemente rallegrarsi. E un segno di vivace consapevolezza, e di responsabile partecipazione alla vita della città. E espressione di quellintelligenza d amore che nasce da Cristo Gesù: Egli continua a donarci la luce della sua Parola e la forza corroborante dell Eucaristia, cuore del discepolato e sorgente perenne della Chiesa. Lintreccio vitale di Parola, Sacramenti e vita, è infatti ciò che sostanzia la presenza del cristiano nel mondo e il suo servizio agli uomini. In forza della fede e della sequela Christi, il discepolo rivive la situazione di Pietro sul lago di Galilea, chiamato a rispondere allinvito del Maestro ad andare verso di Lui camminando sulle acque. E noto lo sviluppo della vicenda: egli scende dalla barca dove si trovava al sicuro e si avventura sulle onde. Ma poi, avvolto dalla notte, dal vento impetuoso, dalla burrasca crescente, comincia ad affondare. Che cosa è successo nello spazio di pochi secondi? Che Pietro ha distratto lo sguardo dal volto di Gesù, si è attardato a guardare le forze avverse della natura, e le ha commisurate con la sua piccolezza. Allora ha avuto paura ma, più profondamente, si è indebolita la fiducia nel Signore. Leco della vicenda di Pietro illumina la situazione di ogni cristiano: egli è chiamato ad attraversare il mare del tempo, a camminare sulle acque fidandosi di Cristo senza mai distogliere gli occhi da Lui. Qualora si vedesse affondare, sarebbe il segno della sua distrazione dal Volto Santo, del suo essere catturato dalle forze del mondo. E quando siamo presi dal mondo diventiamo del mondo, anziché essere nel mondo ma non del mondo, e così diventiamo incapaci di servire gli uomini. Non è dunque limmedesimarsi al mondo che permette di servirlo meglio, ma il vivere nella verità di Dio anche quando questa sembra impossibile, quando è irrisa o non è compresa come il comando di camminare sul mare. E questa verità è da annunciare con amore, senza paura di essere emarginati. E la sapienza della croce che ha ispirato e sostenuto, nelle diverse epoche, la presenza dei cattolici nelle istituzioni pubbliche e nel tessuto sociale del Paese; che ha contribuito in modo determinante a costruire lanima dellItalia prima ancora che lItalia politica. E che dopo lunificazione, a fronte di situazioni difficili e gravi, è stata presenza decisiva per la ricostruzione del Paese, per lelaborazione di un nuovo ordine costituzionale, per la promozione della libertà e lo sviluppo della società italiana. E neppure è mancato e non manca il convinto apporto per lapertura verso unEuropa unita, e per la salvaguardia della pace nel mondo. Questa storia è nota a tutti e sarebbe ingiusto dimenticarla o sminuirla.
3.
Radicati e fondati in Cristo come due milioni di giovani hanno meditato alla Giornata Mondiale della Gioventù a Madrid (agosto 2011) i cristiani abitano la storia consapevoli di avere qualcosa di proprio da dire, qualcosa di decisivo per il bene dellumanità. Qualcosa che è dato dalla fede, che si rivela pienamente in Gesù, ma che in misura è avvicinabile dalla ragione pensante e aperta: è lautentica concezione delluomo, della sua dignità, dei suoi bisogni veri, non indotti e imposti da una cultura prona allideologia del mercato. Senza questa visione, paragonabile al tesoro nascosto nel campo o alla perla preziosa, lordine sociale e civile si deforma e progressivamente si allontana dalluomo. E con questo patrimonio universale che la comunità cristiana deve animare i settori prepolitici nei quali maturano mentalità e si affinano competenze, dove si fa cultura sociale e politica. Non si tratta di predicare il Vangelo scriveva Paolo VI in fasce geografiche sempre più vaste o a popolazioni sempre più estese, ma anche di raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dellumanità, che sono in contrasto con la Parola di Dio e con il disegno della salvezza (Esortazione Apostolica, Evangelii nuntiandi, n. 19).E noto che non tutte le concezioni antropologiche sono equivalenti sotto il profilo morale; da umanesimi differenti discendono conseguenze opposte per la convivenza civile. Se si concepisce luomo in modo individualistico, come oggi si tende, come si potrà costruire una comunità solidale dove si chiede il dono e il sacrificio di sé? E se lo si concepisce in modo materialistico, chiuso alla trascendenza e centrato su se stesso, un grumo di materia caduto nello spazio e nel tempo, come riconoscerlo non qualcosa tra altre cose, ma qualcuno che è qualitativamente diverso dal resto della natura? E su che cosa potrà poggiare la sua dignità inviolabile? E quale sarà il fondamento oggettivo e non manipolabile dellordine morale? Solo Dio Creatore e Padre può fondare e garantire la più alta delle creature, luomo. Per questo, dove la religione subisce lemarginazione palese o subdola, dove si pretende di confinarla nella sfera individuale come una questione priva di valenza pubblica magari con la motivazione del primato della testimonianza silenziosa puntiforme o della neutralità rispettosa luomo rapidamente declina sotto limperio di logiche illiberali, e diventa preda di poteri ridenti ma disumani. La dimensione religiosa è storicamente innegabile, e si rivela anche ai nostri giorni una dimensione incoercibile dellessere e dellagire delluomo: negarla o non riconoscerne la dimensione pubblica, significa creare una società violenta, chiusa e squilibrata a tutti i livelli, personale, interpersonale, civile. Una società incapace di pensare e tanto più di attuare il bene comune, scopo della società giusta. Il bene comune, infatti, comporta tutte le dimensioni costitutive delluomo, quindi deve riconoscere anche la sua apertura a Dio, la sua dimensione religiosa. E dato che la persona è un essere in relazione, ciò che universalmente lo riguarda ha sempre una valenza anche sociale: Relegare la fede nellambito meramente privato, mina la verità delluomo e ipoteca il futuro della cultura e della società. Al contrario, rivolgere lo sguardo al Dio vivo, garante della nostra libertà e della verità, è una premessa per arrivare ad una umanità nuova (Benedetto XVI, Lettera ai Vescovi spagnoli, 8.7.2006).
E opportuno ripetere che non cè motivo di temere per la laicità dello Stato, infatti il principio di laicità inteso come autonomia della sfera civile e politica da quella religiosa ed ecclesiastica ma non da quella morale è un valore acquisito e riconosciuto dalla Chiesa e appartiene al patrimonio di civiltà che è stato raggiunto. ( ) La laicità, infatti, indica in primo luogo latteggiamento di chi rispetta le verità che scaturiscono dalla conoscenza naturale delluomo che vive in società, anche se tali verità sono nello stesso tempo insegnate da una religione specifica, poiché la verità è una (Congregazione della Dottrina della Fede, Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti limpegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, 24.11.2002, n. 6). E poiché solo scegliendo la verità che luomo è per natura, egli giunge alla propria perfezione, allora la morale è liberazione delluomo e la fede cristiana è lavamposto della libertà umana.
Tuttavia bisogna ricordare che il riconoscimento della rilevanza pubblica delle fedi religiose se per un verso è un valore auspicabile e dovuto, dallaltro è fortemente insufficiente in ordine alla costruzione del bene comune e allo stesso concetto di vera laicità. Infatti esso è potremmo dire come una cornice di apprezzabile valore, ma che deve essere riempita di contenuti. La laicità positiva, infatti, non può ridursi a rispetto e a procedure corrette, ma, anche qui, deve misurarsi con luomo per ciò che è in se stesso universalmente, cioè con la sua natura. E questa che invera le diverse culture e che ne misura la bontà o, se si vuole, lintrinseco livello di umanesimo.
4.
I fedeli laici sanno che è loro dovere lavorare per il giusto ordine sociale, anzi è un debito di servizio che hanno verso il mondo in forza dellantropologia illuminata dalla fede e dalla ragione. E questo il motivo per cui non possono tacere. Nel Documento conclusivo della XLVI Settimana sociale dei Cattolici italiani a Reggio Calabria si legge: Noi tutti, come Chiesa e come credenti, siamo chiamati al grande compito di servire il bene comune della civitas italiana in un momento di grave crisi e allo stesso tempo di memoria dei centocinquant anni di storia politicamente unitaria. Vedercelo affidato può stupire e richiede prudenza, ma non deve generare paura o peggio ancora indifferenza (XLVI Settimana sociale dei Cattolici italiani, Documento conclusivo, Reggio Calabria ottobre 2010, n. 20). Come sempre, vogliamo portare il nostro contributo, consapevoli che, storicamente, se non abbiamo fatto abbastanza nel mondo, non è perché siamo cristiani, ma perché non lo siamo abbastanza (CEI, La Chiesa Italiana e le prospettive del Paese, 1981, n.13). Quanto più le difficoltà culturali e sociali sono gravi, i cristiani tanto più si sentono chiamati in causa per portare il loro contributo specifico, chiaro, e deciso, senza complessi di sorta e senza diluizioni ingiustificabili, poiché luomo non è un prodotto della cultura, come si vuole accreditare, e la società non è il demiurgo che si compiace di elargirgli questo o quel riconoscimento secondo convenienze economiche, schemi ideologici o dinamiche maggioritarie. Luomo è in sé il valore per eccellenza, che di volta in volta si rifrange in una cultura che tale è quando non lo imprigiona, consentendogli di porsi in continuo rapporto con la propria verità. Egli, infatti, porta nel suo essere un dover-essere che costituisce la morale naturale. Esiste, insomma, un terreno solido e duraturo (Benedetto XVI, Discorso ai Rappresentanti del Consiglio dEuropa, 8.9.2010), che è quello dei principi o valori essenziali e nativi (Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, n. 71), quindi irrinunciabili non perché non si debbano argomentare ma perché, nel farlo e nel legiferare, non possono essere intaccati in quanto inviolabili, inalienabili e indivisibili (cfr Benedetto XVI, Discorso cit.). Essi appartengono, per così dire, al DNA della natura umana, al ceppo vivo e originario di ogni altro germoglio valoriale. Il Santo Padre Benedetto XVI, nella Caritas in veritate, dopo aver osservato che la verità dello sviluppo consiste nella sua integralità (n.18), ricorda al mondo che il vero sviluppo ha un centro vitale e propulsore, e questo è lapertura alla vita (n. 28).5.
Ma la giusta preoccupazione verso questi temi non deve far perdere di vista la posta in gioco che è forse meno evidente, ma che sta alla base di ogni altra sfida: una specie di metamorfosi antropologica. Sono in gioco, infatti, le sorgenti stesse delluomo: linizio e la fine della vita umana, il suo grembo naturale che è luomo e la donna nel matrimonio, la libertà religiosa ed educativa che è condizione indispensabile per porsi davanti al tempo e al destino. Proprio perché sono sorgenti delluomo, questi principi sono chiamati non negoziabili. Quando una società s incammina verso la negazione della vita, infatti, finisce per non trovare più le motivazioni e le energie necessarie per adoperarsi a servizio del vero bene delluomo. Se si perde la sensibilità personale e sociale verso laccoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono (Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 28). Senza un reale rispetto di questi valori primi, che costituiscono letica della vita, è illusorio pensare ad unetica sociale che vorrebbe promuovere luomo ma in realtà lo abbandona nei momenti di maggiore fragilità. Ogni altro valore necessario al bene della persona e della società, infatti, germoglia e prende linfa dai primi, mentre staccati dallaccoglienza in radice della vita, potremmo dire della vita nuda, i valori sociali inaridiscono. Ecco perché nel corpus del bene comune non vi è un groviglio di equivalenze valoriali da scegliere a piacimento, ma esiste un ordine e una gerarchia costitutiva. Nella coscienza universale sancita dalle Carte internazionali è espressa una acquisita sensibilità verso i più poveri e deboli della famiglia umana, e quindi è affermato il dovere di mettere in atto ogni efficace misura di difesa, sostegno e promozione. Ciò è una grande conquista, salvo poi questa dichiarazione non sempre corrispondere alle politiche reali. Ma, ci chiediamo, chi è più debole e fragile, più povero, di coloro che neppure hanno voce per affermare il proprio diritto, e che spesso nemmeno possono opporre il proprio volto? Vittime invisibili ma reali! E chi è più indifeso di chi non ha voce perché non lha ancora o, forse, non lha più? E, invero, la presa in carica dei più poveri e indifesi non esprime, forse, il grado più vero di civiltà di un corpo sociale e del suo ordinamento? E non modella la forma di pensare e di agire il costume di un popolo, il suo modo di rapportarsi nel proprio interno, di sostenere le diverse situazioni della vita adulta sia con codici strutturali adeguati, sia nel segno dellattenzione e della gratuità personale? Questo insieme di atteggiamenti e di comportamenti propri dei singoli, ma anche della società e dello Stato, manifesta il livello di umanità o, per contro, di cinismo paludato, di un popolo e di una Nazione. La nostra Europa, come lintero Occidente segnato da una certa cultura radicale fortemente individualista, si trova da tempo sullo spartiacque tra lumano e il suo contrario. Questi temi non sono rimandabili quasi fossero secondari; in realtà formano la sostanza etica di base del nostro vivere insieme. Già nel 1992, i Vescovi italiani scrivevano: Lelaborazione di una diversa cultura delluomo e della convivenza sociale è il problema più serio, la più grande sfida che la società italiana deve affrontare (CEI, Evangelizzare il sociale, n. 89).Ma vi è anche una seconda tesi nellobiezione riportata: sembra che lo scopo precipuo degli Ordinamenti civili debba essere quello di registrare e ordinare i comportamenti e i desideri soggettivi, dal momento che il relativismo culturale sfocia inevitabilmente nel pluralismo etico, e questo viene ritenuto da alcuni la condizione della democrazia. Avviene così che nella sfera culturale si rivendica la più assoluta autonomia delle scelte morali, e nella sfera legislativa si formulano leggi che prescindono dalletica naturale, come se tutte le concezioni della vita fossero equivalenti. A fronte di tale concezione, mi torna alla memoria lo Stato Leviatano di Hobbes, secondo il quale esso esiste come necessario gendarme che regola gli istinti violenti di tutti contro tutti. La Dottrina sociale della Chiesa, il pensiero universale e lesperienza, offrono in verità una visione ben più alta e nobile dello Stato. In questo decisivo orizzonte, il Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee, a conclusione dellincontro annuale svoltosi in Croazia, così si è espresso a nome di tutti i Vescovi del Continente: Siamo convinti che la coscienza umana è capace di aprirsi ai valori presenti nella natura creata e redenta da Dio per mezzo di Gesù Cristo. La Chiesa, consapevole della sua missione di servire luomo e la società con lannuncio di Cristo Salvatore, ricorda le implicazioni antropologiche e sociali che da Lui derivano. Per questa ragione non cessa di affermare i valori fondamentali della vita, del matrimonio fra un uomo e una donna, della famiglia, della libertà religiosa ed educativa: valori sui quali si impianta ed è garantito ogni altro valore declinato sul piano sociale e politico (CCEE, Assemblea plenaria, Zagabria 3.10.2010).
A volte si sente affermare che di questi valori non bisognerebbe parlare perché divisivi e quindi inopportuni e scorretti, mentre quelli riguardanti letica sociale avrebbero una capacità unitiva generale. Linvito, non di rado esplicito, sarebbe quello di avvolgerli in un cono dombra e di silenzio, relegarli sempre più sullo sfondo privato di ciascuno, come se fossero un argomento scomodo, quindi socialmente e politicamente inopportuno. Linvito è spesso di far finta di niente, di lasciarli al loro destino, come se turbassero la coscienza collettiva. Tuttalpiù si vorrebbe affidarli allopera silenziosa e riservata della burocrazia tecnocratica. Ma è possibile perseguire il bene comune tralasciandone il fondamento stabile, orientativo e garante? Il bene è possibile solo nella verità e nella verità intera. Per questa ragione non sono oggetto di negoziazione: su molte questioni, infatti, si deve procedere attraverso mediazioni e buoni compromessi, ma ci sono valori che, per il contenuto loro proprio, difficilmente sopportano mediazioni per quanto volenterose, giacché, questi valori, non sono né quantificabili né parcellizzabili, pena trovarsi di fatto negati.