Un uomo di potere dai modi frugali. Un cattolico fervente, con entrature vaticane di altissimo livello, che rivendicava il ruolo del laicato cattolico. Un uomo di fede che aveva fortissimo il senso della missione individuale. Un orgoglioso figlio della Camunitas , partito dalla Valle per assumere un ruolo centrale nel sistema di potere finanziario, culturale, editoriale cattolico.
Tutto questo è stato Giuseppe Camadini, notaio come il padre e come il fratello Gianfranco che morì nel 1954 a soli 31 anni quand’era già assessore provinciale e astro nascente della Dc. Da allora Giuseppe assume il ruolo di leader di famiglia (il fratello Pierluigi è mancato 2 anni fa, gli sopravvivono il fratello Giancarlo e la sorella Maria Luisa, a Bologna).
Le prime apparizioni pubbliche di Giuseppe risalgono al ’51. Lo si trova ventenne nella redazione di riviste studentesche come la Sveglia e Il Cidneo a fianco di coetanei che faranno la storia del movimento cattolico. Nel ’52 è presidente della Fuci, nel ’58 entra nell’esecutivo provinciale della Dc, «erede» del fratello. Doroteo prima, moroteo poi (fino alla svolta del centrosinistra), Camadini verrà emarginato dall’ascesa dei basisti, gli «avvocati» di Padula, Gitti e Martinazzoli che ha sempre considerato fieri avversari. Ieri alla Camera è stata ricordato da Paolo Corsini e Rocco Buttiglione: omaggio postumo di una politica verso la quale ha nutrito un amore non corrisposto fin dai tempi dei contrasti con i senatori camuni Mazzoli e Cemmi. Fino all’offerta di una candidatura senatoriale che Martinazzoli gli fece nel ’94 per il Ppi e che egli rifiutò – pare – dopo molte esitazioni.
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http://brescia.corriere.it/brescia/notizie/cronaca/12_luglio_26/20120726BRE03_36-2011179149579.shtml
Articolo di Massimo Tedeschi