Avevamo appena finito di mettere in guardia tutti, ecco che in Belgio la casa del cardinale Godfried Danneels, primate emerito del Belgio e prelato di tendenza progressista, è stata bruscamente e brutalmente perquisita (lo sospettano di non avere denunciato per tempo il vescovo di Bruges dimissionario a gennaio con laccusa di abusi su minori, Roger Vangheluwe); la sede della commissione di accertamento sui casi di pedofilia del clero, presieduta dal laico e psicologo infantile Peter Adriaenssens, è stata praticamente smantellata, con sequestri di documenti e violazioni della privacy di sospetti pedofili e di vittime dei presunti abusi; il collegio episcopale belga è stato trattenuto per molte ore in stato di fermo mentre era riunito; le tombe di uno dei padri teologici del Concilio Vaticano II, Léon-Joseph Suenens, e dellarcivescovo Joseph-Ernest Van Roey sono state sventrate con il martello pneumatico alla ricerca di chissà quali documenti inquisitori: il tutto nel quadro di uninchiesta tambureggiante che travolge e abroga il rapporto tra governo e autorità ecclesiastica, provoca finalmente lo stupore e il rincrescimento della segreteria di stato vaticana, ed è originata dalla delazione di un prete pensionato, Rik Devillé, che si dice araldo della trasparenza inascoltato dallepiscopato. Il nuovo primate e presidente della Conferenza episcopale belga, il conservatore André-Mutien Léonard, ha detto diplomaticamente che la giustizia deve fare il suo corso, ma ha anche osservato che erano scene degne del Codice Da Vinci.
Ma lopinione ecclesiale e quella laica, compreso il quotidiano cattolico, Libre Belgique, sembrano intimidite e stregate dal teorema secolarista che sta a fondamento della campagna: il clero è in quanto tale responsabile di gravi delitti di natura pedofila, la chiesa li copre con il segreto nella sua intimità e paternità incompatibili con il funzionamento della giustizia civile, occorre rompere questa omertà e scovare le prove degli abusi in nome delle vittime, dovunque sia possibile e perfino scavando nelle tombe e nelle cattedrali. Una chiesa cattolica abbandonata senza serie difese, senza adeguata resistenza, alliniziativa selvaggia di procuratori crociati e di delatori o avvocati non è una buona notizia per noi laici non laicisti. La chiesa deve essere considerata e rispettata come parte di un pluralismo delle libertà e autonomie istituzionali che è il succo di una società secolare non fanatizzata, impermeabile alla cialtroneria postgiacobina di certe ossessioni laiciste del nostro tempo. Speriamo che il Papa, i cardinali, i vescovi e i preti imparino a difendersi per difendere anche la nostra libertà dallintolleranza travestita da fiaccola di giustizia
Bresciaoggi 30 Giugno 2010
Egregio direttore, in un editoriale pubblicato sabato 26 giugno dal «Foglio» di Giuliano Ferrara si chiede alla Chiesa di difendersi dai continui attacchi, l’ultimo e il peggiore per la grave modalità messa in atto quello venuto dal Belgio, per difendere così la libertà di tutti «dall’intolleranza travestita da fiaccola di giustizia». Una presa di posizione che non arriva dal cosiddetto mondo cattolico, ma che sento profondamente vera di fronte a quanto sta succedendo.
Due settimane fa la Fondazione San Benedetto, insieme alla Compagnia delle Opere e al centro culturale Città Europa, ha organizzato a Brescia presso l’auditorium San Barnaba un incontro di presentazione del libro «Padre», appena pubblicato da monsignor Camisasca. L’autore, presente all’incontro, partendo dalla propria esperienza ha parlato dell’identità, della vita e della missione del prete. Il salone era affollato ma la presenza di chierici tra il pubblico molto ridotta.
Oltre che per l’interesse del testo, con questa iniziativa, avevamo pensato di far sentire la vicinanza di noi laici ai sacerdoti in un momento in cui la loro figura viene ingiustamente messa sotto accusa al di là di singole responsabilità personali. In quanto cristiani, laici o sacerdoti, siamo infatti tutti chiamati alla stessa unica vocazione, quella alla santità. In questa prospettiva mi sembra importante sottolineare che un conto è chiedere perdono e voler chiarezza, sottoponendosi anche alla giustizia civile, per gli abusi commessi dai propri membri come ha richiesto più volte il Santo Padre, altro è cadere in un complesso di colpa generalizzato accompagnato da una sorta di sindrome di Stoccolma. Ad esempio in questi giorni mi viene segnalato che la nostra diocesi ha deciso di aprire la presentazione itinerante della nuova lettera pastorale del vescovo con la proiezione del film «Agorà». Una ricostruzione cinematografica, con evidenti forzature antistoriche e antiscientifiche, della vicenda di Ipazia presentata come vittima dell’oscurantismo dei cristiani e della Chiesa. Inutile dire che le cose non andarono esattamente come le racconta il film e che la realtà è un po’ più complessa. Ipazia fu senz’altro uccisa dal fanatismo di alcuni cristiani, ma farne l’icona del libero pensiero o una martire della ragione stabilendo indebite analogie col presente e con altre epoche è solo un’operazione ideologica in chiave anticattolica. E di storico in questo non c’è nulla.
Giovanni Paolo II nel 2000 chiese perdono per le colpe dei cristiani. Da altri che si sono resi protagonisti di violenze, massacri e genocidi, anche verso i cristiani, non è invece mai arrivata nessuna richiesta di perdono. Solo silenzio, censure e tante omissioni, anche nei libri di storia. Bisognerebbe ricordarselo. Graziano Tarantini
PRESIDENTE FONDAZIONE SAN BENEDETTO – BRESCIA