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fonte: www.paolocirinopomicino.it 
pubblicato sul Foglio 8 Agosto 2013
 
La crisi irreversibile della cosiddetta seconda repubblica si conclude con una pagina amara per chiunque abbia a cuore le sorti del paese. Sia chiaro, la crisi della repubblica non è causata dalla sentenza di condanna di Berlusconi. La decisione della Cassazione, al di là dei giudizi contrapposti che si possono dare, mette la parola fine ad un ventennio sciagurato durante il quale tutti, nessuno escluso, hanno portato il proprio contributo alla dissoluzione culturale e politica del nostro sistema di governo. Una dissoluzione nata, come diciamo ossessivamente da tempo, dalla messa in soffitta delle grandi culture politiche di stampo europee sostituite da leaderismi di varia natura, a volte proprietari, altre volte inadeguati, qualche volta ridicoli. Quella dissoluzione aveva da tempo messo in crisi il sistema politico nato da tangentopoli con conseguenze nefaste per il paese. Dal 1995 l’Italia non cresce più, l’incremento annuo della produttività del lavoro è stato sempre largamente inferiore a quello dei paesi dell’eurozona, l’occupazione ha perso oltre 700 mila posti di lavoro, la pressione fiscale è salita in 20 anni di quasi  quattro punti mentre il debito, in valore assoluto, è aumentato di oltre 1200 miliardi di euro a fronte degli 839 miliardi fatti dalla prima repubblica in 40 anni, e in percentuale è passato dal 98,5 % del 91 al 130% di oggi. La crisi internazionale, finanziaria prima ed economica poi, ha fatto il resto. Attenti, però. Non sono solo gli indicatori economici ad essere stati devastati, è l’insieme del paese che ha iniziato un percorso di decadenza progressiva. Dall’istruzione alla sanità, dall’ambiente alla formazione del capitale umano, per finire alla giustizia, l’Italia, pur conservando molte eccellenze, arranca sempre di più su ogni terreno e la rabbia popolare, da qualche tempo, cresce dovunque in maniera allarmante. Il tutto non è il prodotto di un destino cinico e baro. È figlio di una crisi politica e dei suoi protagonisti partitici che hanno smarrito, insieme alle rispettive culture di riferimento, anche quel buon senso comune nel legiferare e nell’amministrare trasformando, così, anche  le sedi più alte della sovranità popolare come il parlamento della repubblica in luoghi nei quali, quando non ci sono risse e insulti, c’è solo inadeguatezza e subalternità. E tanto per completare il quadro, da un lato, la vicenda della moglie del dissidente kazako testimonia la dissoluzione della sovranità nazionale e dall’altro il capitalismo internazionale ha fatto, e continua a fare, shopping di aziende pubbliche di qualità nel mentre il nostro litiga per gli equilibri nel Corriere della Sera o per altre piccole partite di potere domestico. Questa crisi profonda, diventata irreversibile per responsabilità di tutti ancorché pro quota, si è chiusa nel peggiore dei modi e cioè con una banale sentenza per frode fiscale in un paese nel quale gli evasori abbondano per colpa, per dolo o, per dirla con Fassina, per sopravvivere. Insomma in questa crisi non c’è neanche la tragicità della fine della prima repubblica con le sue violenze le sue carcerazioni di innocenti e con i suoi suicidi. E adesso, tutti ci domandiamo, cosa fare. Come può uscire il paese da una pluriennale recessione e allontanare lo spettro di una povertà di massa? Prima della fine della seconda guerra mondiale i responsabili delle grandi culture politiche, socialisti, comunisti e democristiani seppero trovare quel minimo comune denominatore che per qualche anno consentì di organizzare la vita democratica del paese e poi dividersi tra maggioranza e opposizioni entrambe, però, con un comune senso dell’interesse generale che consentì, nel tempo, di crescere nel benessere, di riformare il paese nel profondo, di battere l’inflazione a due cifre e di sconfiggere il terrorismo. Oggi è quel tempo, è il tempo, cioè, in cui le grandi coscienze politiche per troppo tempo seguaci silenti delle mode e degli interessi di turno , si sveglino dal colpevole letargo e tornino a dare all’Italia una politica alta non più priva di cultura e prigioniera di ridicoli leaderismi vecchi e nuovi e di piccoli interessi di bottega. È il tempo della mobilitazione di quella sorta di “guardia nazionale“ presente sempre in ogni paese e capace di scendere in campo nei momenti più tragici per salvare l’interesse nazionale pur nelle diversità culturali e politiche. L’Italietta politica di questi ultimi vent’anni sarà capace di questo sussulto chiamando tutti, donne, uomini, giovani e anziani in quest’opera meritoria senza la quale nei prossimi mesi il paese andrà definitivamente alla deriva? Se non lo farà, il paese sarà commissariato da forze e da interessi senza volto che sono dietro le grandi istituzioni internazionali finanziarie e politiche.