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GRAZIANO TARANTINI
 

Una società è giusta e virtuosa se garantisce l’uguaglianza dei punti di partenza e sa valorizzare i corpi intermedi fra l’individuo e lo Stato. In un volume uscito da pochi giorni dedicato a Luigi Einaudi, il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, ricorda il principio formulato dal grande statista ed economista liberale nel lontano 1944 ancora oggi di estrema attualità. Non vedeva contraddizione fra la sua professione di fede liberista e la necessità di correttivi per assicurare condizioni di partenza uguali per tutti.

Credo sia un sano criterio di giustizia sociale che dà a ogni persona gli strumenti essenziali per impegnare senza insormontabili ostacoli iniziali la propria libertà nella realizzazione della vocazione professionale. È l’unica strada per valorizzare i talenti. Secondo tale logica a un ragazzo privo di mezzi economici saranno messe a disposizione forme di sostegno, ad esempio borse di studio, per consentirgli di iniziare il proprio percorso di formazione.

Purtroppo, nella pratica si è invece spesso preferito sostituire l’uguaglianza dei punti di partenza con aiuti successivi di tipo assistenziale, rivendicando nel contempo una diversa redistribuzione delle risorse. Il risultato è sotto i nostri occhi: la mobilità sociale è stata di fatto bloccata e sono stati mortificati desideri e sogni di tanti giovani. Distruggendo così sul nascere ricchezza potenziale per tutti.

Nel testo Draghi ricorda che Einaudi “non fu un seguace del darwinismo sociale, ma apprezzò e valorizzò i corpi intermedi fra l’individuo e lo Stato”. Ritengo questol’altro elemento chiave su cui riflettere. Parlando di corpi intermedi, ognuno può pensare a ciò che, per la sua esperienza, gli è più vicino: la famiglia, un’associazione, una cooperativa, ecc. Costituiscono l’ossatura di un tessuto sociale che ha fatto la ricchezza del Paese e che nei momenti di crisi è stato fattore di attenuazione delle dure conseguenze sociali. E in questi giorni avrebbero meritato di essere ricordati per il loro contributo all’unità nazionale.

Sono il risultato di una storia e di una passione per il bene comune che ha dato forma e sostanza alla società. Ancora oggi rappresentano una realtà dove chi è in situazioni di difficoltà può trovare appoggio e chi è più forte non si inaridisce in uno sterile individualismo. Per loro natura potrebbero essere definiti in senso lato luoghi di amicizia. Sono spesso il frutto di esperienze ideali e nel sacrificio di molte persone trovano le risorse e la forza per andare avanti. Einaudi, giustamente, li considerava anche la migliore scuola per la formazione della classe dirigente.

Io stesso potrei testimoniare quanto ciò sia vero. Ma lo Stato fa poco o niente per sostenerli, mentre se fosse lungimirante e moderno dovrebbe considerarli potenti alleati. Basti pensare al tema dell’assistenza e della previdenza. È realistico pensare che una società che sta modificando la sua struttura demografica possa reggersi sulla capacità di risposta dello Stato? Sarebbe un’illusione. Lo stesso vale in campo educativo e formativo, senza ridurre ideologicamente tutto a una contrapposizione fra la scuola statale e la cosiddetta scuola privata, sminuendo le ambedue utili funzioni di servizio pubblico.

Sempre Einaudi vedeva la concorrenza fra persone, idee, operatori di mercato, classi sociali, come generatrice di progresso. Perché non pensare allora a meccanismi di effettivo favore fiscale per le persone che si associano per rispondere a esigenze primarie? In un momento in cui tante presunte sicurezze scricchiolano, non valorizzare i corpi intermedi sarebbe un’imperdonabile cecità.